sabato, Novembre 9Settimanale a cura di Valeria Sorli

Alviero Martini: Tutti al cinema

 

Descrivere  il cinema con tutti gli aggettivi che sono già stati utilizzati è un compito arduo, ma inevitabilmente mi ripeterò.  Una precisazione importante: non pretendo fare una critica cinematografica ai tre film che ho visto, ma una semplice trasmissione del mio “sentiment”, delle mie sensazione che ho provato dopo la loro visione. Non eviterò i luoghi comuni, ovvero che il cinema è finzione, ma anche realtà, fantasia, sogno, racconto, dramma, allegria, visione, libertà di pensiero, di espressione, umorismo, eccesso, denuncia,  documentario, cartoon, comico, scenografico, scrittura, romanzo, citazione, omaggio etc etc.  ed avendo praticato il mestiere dell’attore negli anni 70-80, ho lavorato con i Fratelli Taviani, con Sergio Citti, con Gassman, Philippe Noiret, e molti altri grandi del cinema, ed ho sviluppato una mia personale lettura di ogni opera: di un regista apprezzo lo sviluppo del tema, di una altro le scenografie, la sceneggiatura, i dialoghi,  i costumi, e ovviamente le interpretazioni, il regista “fa” il film ma l’attore “fa” il film… e spesso esco a metà proiezione perché deluso da un qualche motivo, fra i tanti citati sopra. Questi tre film che ho visto di recente, tra l’altro azzeccando la Palma d’oro a Banderas,  di rara  bravura… ma partiamo con ordine.

DOLOR Y GLORIA, l’ultima opera del grande Pedro Almodovar, assente dalle scene da tempo, e al suo gradito rientro si è confermato il grande regista che è sempre stato, con un soggetto così intenso, drammatico, ma reale, convincente, con il tocco folcloristico, il suo marchio distintivo, attori di grande livello, ma soprattutto un Antonio Banderas al di sopra di ogni possibile livello artistico. Aveva già dimostrato le sue capacità (e gli perdoniamo gli  spot con la gallina Rosita, che per una attimo ha fatto traballare la sua carriera), ed ora torna con questo personaggio che regge dall’inizio alla fine come in una sequenza unica, straordinario! Il ruolo è molto impegnativo, non vi svelerò nè la trama né il finale, ovviamente, ma interpretare un uomo colpito da mille patologie, inframezzato da mille flash back, con la madre, Penelope Cruz, e nel finale la madre anziana, in una confessione talmente toccante  che lo spettatore esce sconvolto, ma appagato da tanta bravura, da tutto il cast, dal soggetto e da una regia Almodovariana degna di un Oscar… chissà cosa ne penserà l’Academy ad Hollywood… di certo non potranno restare insensibili davanti ad un ottimo film, rispetto ad una cinematografia americana ultimamente imperante di effetti speciali, cartoon, tutto costruito per il box office, e molto meno per il cervello degli spettatori… molta azione, poco arrosto. Cosi  è per JOHN WICK 3… non ho visto i precedenti, mi è bastato questo! John Wick è in fuga per due ragioni: una taglia di 14 milioni di dollari e per aver infranto una delle regole fondamentali, della setta alla quale appartiene e deve ora  uccidere il proprietario  dell’Hotel Continental, con il quale ha dei conti in sospeso, così comi li ha con Sofia (Halle Berry) a Casablanca, un secondo con un allevatori di piccioni sotto il ponte di Brooklin, poi un altro adepto a Tokio e  altri in altre località nel mondo. Una spietata GIUDICATRICE (l’attrice Ruby Rose),  orrenda figura che istiga in tutti il senso di colpa ed impartisce le punizioni, è un film di Chad Stahelsky, un vero esteta, elegante in tutte le fantastiche riprese, con combattimenti mai visti: in una stalla dove i cavalli stessi diventano assassini, in un’altra cani che sbranano una cinquantina di esseri umani, inseguimenti in moto  mai viste, e infine un combattimento in stile Bruce Lee al Continental,  dove  John Wick, killer infallibile ritiratosi dal “mestiere” ma tornato forzatamente a uccidere, scomunicato dall’Alta Tavola, intepretato da un bravissimo Keanu Reeves, si confronta precedentemente con un’altra adepta, un cameo interpretato da Angelica Houston, dicevamo che un combattimento senza fine (il film dura 2 h e 40 minuti) frantumando almeno 50 teche di cristallo, tra spade conficcate nel petto degli avversari che non muoiono mai se non a pochi secondi dal finale , e ovviamente lui, Jhon Wick,  si salva, perché la saga continui.  Raramente ho visto un film d’azione così elegante, con scenografie straordinarie, sempre sotto una pioggia incessante, tipica del disastro-disagio che vuole trasmettere, e una scena mitica: siamo alla Central Station di New York ed è prevista una sfida a duello con coltelli tra Jhon-Reeves e il rivale Nipponico, l’attore Laurence Raddick, pronti a sfregiarsi, ma fatalemente  separati da una lunga coda di bambini ai quali una guida turistica impartisce l’ordine di stare bene uniti mano per mano, il tutto in una affollatissima hall della stazione, con migliaia di passanti indifferenti (come nella  realtà)… eccezionale. Come tutto il film, peccato, PECCATO che sia tutto improntato su male, un film diabolico, con messaggi così negativi che una giuria selezionatrice dovrebbe proibirne la distribuzione, o almeno vietarlo ai minori di 30 ANNI!!!!!, dico trenta perchè ci vuole una psiche adulta per capire che è finzione, tuttavia malefica. In sala c’erano una dozzina di ragazzini (non è vietato neppure ai minori di 14 anni!!!) ed ero preoccupato per quel che potevano percepire dal film… No, non è questa l’educazione cinematografica che necessitano i nostri giovani, già confusi da mille messaggi televisivi trash…non invoco il libro Cuore, ma messaggi positivi, incoraggianti, esempi di un mondo pacifico, non cruento e che per far cassetta costringe lo spettatore  a torture medioevali.

IL TRADITORE, regia di Marco Bellocchio, un ritratto completo del primo pentito di mafia Tommaso Buscetta, interpretato da  un bravissimo Pierfrancesco Favino. Di film sulla mafia, sulla stage di Capaci, sui processi di Palermo, i film su Andreotti, Il Divo di Sorrentino, le varie serie di Gomorra, Falcone e Borsellino ricordati in film- documentari, insomma di mafia vivono e di mafia feriscono, di mafia periscono e di mafia non se ne può più! Tuttavia il fil di Bellocchio, incentrato su “Masino Buscetta”, è un affresco storico, sulla vita di un malavitoso, e speriamo non dia l’inizio ad una saga sulla vita di ogni mafioso, pentito o meno che sia!!!! NO per favore. CI BASTA QUESTO!!! E’ tuttavia  un buon film, al quale avrei sottratto qualche prova da grande attore per Favino, come la canzone in spagnolo cantata per il suo compleanno, non propriamente in tema con il film, bastava un accenno, ed invece al bravo attore è concessa tutta la canzone. Qualche leggera incongruenza tra costumi e trucchi, nonostante sia tutto ben rimarcato da date e luoghi. Avrei risparmiato anche l’incubo della propria forzata sepoltura, un elemento non incisivo per il film. Comunque Cannes è spietata, e sicuramente la pellicola di Bellocchio meritava un premio.. anche se si sono accontentati del Collar Dog datogli da Tarantino… dice Bellocchio “almeno non torniamo a mani vuote!.  L’umorismo é una grande componente del cinema,  l’umorismo di fa, si ha, si è! Bravo Bellocchio!

E… TUTTI AL CINEMA!!!