venerdì, Dicembre 13Settimanale a cura di Valeria Sorli

Raimondo Rossi – Nei miei scatti un inno alla diversità

Nei suoi scatti celebra la diversità. Raimondo Rossi, fotografo attento e sensibile al sociale, fa riflettere attraverso i suoi scatti su importanti tematiche che mai come adesso affliggono il mondo.
Su Vogue Italia è presente qualche suo esempio di fotografia di still life, fashion, documentary e architetture, a dimostrare la versatilità e il senso di armonia che accompagnano Raimondo in ogni lavoro.                           Una passione quella per la fotografia maturata nel corso dei lunghi viaggi in camper in giro per l’Europa. Dopo aver conseguito la laurea in matematica, Raimondo ha deciso di buttarsi a capofitto nell’arte fotografica seguendo corsi che gli hanno permesso di affinare la tecnica. In questa intervista, Raimondo ci ha parlato del suo stile fotografico svelandoci il suo più grande sogno professionale.

Raimondo, in poco tempo hai raggiunto grandissimi risultati. La fotografia è sempre stata
la tua vocazione?
Devo dire che in poco tempo sono riuscito a ritagliarmi uno spazio interessante nel mondo della fotografia e questo mi rende felice. A dire la verità, anche se da piccolo amavo osservare mia madre mentre fotografava durante i nostri viaggi, la passione per la fotografia è maturata piano piano, quando, dopo aver iniziato a fare dei ritratti nei backstage di moda, ho iniziato a nutrire una profonda stima sia nei confronti delle persone che mi seguivano che delle persone del settore. E poco dopo, ho formato il mio stile fotografico. Non posso dire di avere una fotografia che mi ha colpito talmente tanto da dire: “voglio diventare fotografo”, ma ricordo che le prime volte che ho visto gli scatti di Diane Arbus sono rimasto particolarmente affascinato.

Molti considerano il mondo della fashion photography un ambiente ostile e poco vivibile.
Sei d’accordo con questa linea di pensiero?
Riconosco che l’ambiente della moda sia piuttosto cinico. Personalmente però, non essendo ossessionato dal fare carriera mi sono approcciato a quel mondo in maniera piuttosto rilassata, libera, e questo mi ha permesso di navigarci dentro senza alterare il mio equilibrio e la mia scala di valori. Per esempio, non ho mai firmato alcuna esclusiva con nessun magazine, proprio perché in quel caso sarei dovuto sottostare a delle linee editoriali con il rischio di perdere un po’ della mia identità artistica.

Al giorno d’oggi la fotografia è un mezzo che si è esteso praticamente a tutti. Questa mercificazione la trovi deleteria per la professione del fotografo oppure credi che la fotografia debba essere un mezzo alla portata di tutti?
A differenza di tanti fotografi, credo fermamente che la fotografia debba essere alla portata di tutti. A volte rifletto sull’astio che molti di loro provano nei confronti delle foto scattate con i cellulari e condivise sui social dai ragazzi e non riesco a trovare una ragione. Sembra quasi che gli studi di fotografia o le ore dedicate debbano garantirti una sorta di rispetto che ti deve essere tributato. Ma è l’esatto contrario: è chi ha studiato fotografia che dovrebbe portare rispetto anche ad un bambino che con il suo smartphone prova a fare qualche scatto.

Il tuo occhio è capace di catturare immaginari intimi e introspettivi, com’è nato il tuo gusto estetico? Come descriveresti il tuo stile fotografico?
Il gusto estetico è qualcosa di molto personale. Nel mio caso è un gusto per cose semplici, sia nella moda e nello styling, sia nella fotografia o nella direzione artistica: è un gusto estetico piuttosto minimalista. Il mio stile fotografico viene di conseguenza: le foto sono composte in maniera semplice, dando risalto a ciò che si nasconde dietro la fotografia più che alla fotografia stessa.
 Tra i tuoi scatti, qual è quello che ami di più e perché?
Ci sono alcuni di cui ho degli splendidi ricordi. Quelli che mi vengono in mente ora, sono tre ritratti che si chiamano rispettivamente Kefi, Ethan, Loveth. Tre persone diverse l’una dall’altra, ma ugualmente espressive. Sono state inserite nella photogallery di Vogue.

Le tue fotografie sono un inno alla diversità. Eppure in un mondo ancora oggi pieno di frontiere, i muri tornano ad alzarsi e si inaspriscono le manifestazioni di razzismo. Stiamo tornando indietro? Pensi che l’arte, in questo periodo di grande fragilità, debba assumersi una responsabilità sociale?
Stiamo tornando indietro. Purtroppo le ingiustizie e le discriminazioni sono e saranno sempre all’ordine del giorno. Questa è la storia dell’umanità. Per questo motivo ritengo che l’arte debba fare la sua parte. In un mondo come quello attuale, dove la comunicazione èn spesso immediata e per arrivare a cuore e cervello necessita di essere efficace, fotografia e video sono dei mezzi importanti per poter trasmettere messaggi di valore.
Consigli da dare a un ragazzo/a che oggi sogna di fare il tuo stesso mestiere?
Gli consiglierei di chiudere tutti i libri, di prendere una macchina fotografica e iniziare a scattare. Parlando invece di moda gli consiglierei ad esempio di prendere i vestiti dei genitori e di dilettarsi creando outfit efficaci ed eleganti.
Il tuo più grande sogno professionale.
Credo che la cosa più interessante, dal punto di vista professionale, possa essere quella di dirigere una rivista di valore, dove poter dar spazio a persone che hanno idee e talento creativo. Mi piacerebbe anche poter ritrarre sempre di più persone di tutti i tipi, da politici a musicisti, da attori a disadattati che dormono nelle stazioni. Ognuno ha una storia da raccontare e per me poterli ascoltare tramite i loro sguardi sarebbe, come lo è ora quando fotografo, un immenso piacere.