venerdì, Aprile 26Settimanale a cura di Valeria Sorli

E’ Natale

Da bambino ho trascorso l’infanzia in campagna, a Ronchi, in provincia di Cuneo, nel casolare del nonno, quindi con la nostra famiglia e quella dello zio Giovanni, ed ero in buona compagnia con mia sorella Silvia e i miei cuginetti Oreste e Mirella, più tardi sarebbe arrivato anche il fratellino Bruno.  Il nostro casale confinava con altre 3 cascine anche loro abitate da contadini, con una folta prole. Dunque l’arrivo del Natale era molto atteso  perché seppure nella modestia delle famiglie, con la povertà del dopoguerra, non mancava l’allegria, l’attesa dei regali, le soprese di Babbo Natale, al quale scrivevamo le letterine, ma raramente i regali corrispondevano a quelli desiderati, a causa della disponibilità dei risparmi casalinghi.

Ogni casa si prodigava ad allestire un presepe, e naturalmente io con la mia voglia di artisticità, mi inventavo mille cose per differenziarmi da quelli delle alte case, che usavano il muschio, la carta dorate, il cotone per fare i fiocchi di neve i laghetti, e le tante statuine che ogni anno aumentavano per generosa concessione di papà e mamma, che esaudivano le nostre richieste di avere 3 pastorelli n più, un pescatore, un fabbro, molte pecorelle e altre novità.  Io cominciavo a novembre a ritagliare fogli di carta per fare alberi con rami,  a sagomare sul cartone mezzi di trasporto, a creare pozzi impermeabili, che potessero davvero contenere l’acqua… e l’eccitamento era tale che man mano che il presepe prendeva forma, aumentava la creatività, e dunque ecco che compariva da un sogno notturno, una nuova statuina, magari fatta con il pongo o la creta, pennelli e colori per fortuna non mancavano, anche se di seconda mano, ma tutto era utile a soddisfare le mie esigenze. Dunque già 8-10 giorni prima del Natale il presepe era pronto e tutti, io per primo eravamo appiccicati al “nostro” paesello inventato, a custodire, a sorvegliare che nessuna pecorella sfuggisse dal gregge, che le luci illuminassero tutti gli anfratti dove erano state nascoste, e finalmente la sera del Santo Natale, si collocava Gesù Bambino nella sua culla, pazientemente preparata con paglia super morbida, e la festa era così sentita che i lacrimoni si sprecavano, tra noi bambini, e anche i grandi. Poi tutti a nanna, perché non dovevamo vedere l’arrivo di Babbo Natale, sia che entrasse dall’uscio di casa, o che scendesse dal camino. Nessuno dormiva,   poi alle quattro o cinque del mattino il crollo,  e finalmente “passava” Babbo Natale e al risveglio, prestissimo, ecco i pacchi vicino al presepe!!!! Urla di gioia, qualche delusione per non aver ricevuto tutto il richiesto, ma  quel poco contenuto nei pacchi coloratissimi, era gioia pura. Un traforo, un’armonica a bocca, un libro per disegnare, un giocattolo di pezza, una cartella nuova per la scuola, un paio di scarpine, tutto, era felicità al cubo. Ne ho trascorsi parecchi di questi semplici ma meravigliosi Natali, poi arrivò la moda dell’albero di Natale, convisse insieme al presepe per qualche anno, poi le statuine furono messe definitivamente  a riposo e l’albero era sempre più alto, e qui mi divertivo veramente a creare decorazioni e ad aggiungere luci, palline, e altri oggetti fatti a mano, cestini di carta pieni di matite temperate come se fossero spuma,  bombolette spray che spuzzavano lustrini sui rami, insomma, ora i pacchi li trovavamo sotto l’albero e di Babbo Natale non se ne parlava più, avevamo superato l’infanzia e “sgamato” il trucco.  Ma il Natale era sempre una grande occasione di festa.

Tradizione che ho conservato anche in seguito, sin dalla mia prima casa da singolo a 18 anni, l’albero era tutto mio e con gli amici che invitavo a Santo Stefano (perché il Natale era rigorosamente trascorso in famiglia) ci scambiavamo i regali a mano, mantenendo sempre quella curiosità un po’ infantile, che per fortuna non mi ha mai abbandonato.

Poi sono arrivate le case grandi, le feste Natalizie per raccogliere fondi per i bambini abbandonati in India , o altre nobili cause, e con la notorietà arrivavano anche i vip a contribuire alla buona riuscita della raccolta fondi. E qui gli addobbi erano il mio forte.

Ricordo che un anno comprai a New York, una famiglia di orsi di pelouche, una mamma orsa con cucciolo aggrappato sulla schiena e un altro cucciolo di media statura che componeva il nucleo famigliare. Tutto a grandezza naturale, ovvero mamma orsa era distesa e occupava un metro e mezzo di spazio, il cucciolo era alto 80 centimetri, e la particolarità era che all’interno della pancia contenevano un motorino che li faceva respirare, e muovevano la testa o le zampe come se fossero reali. Si, lo so, oggi sono molto comuni, ma nei prima anni novanta erano una grande novità e io li trasportavo dall’America, la patria d’avanguardia dei decori natalizi.

Al J.F.K., alla dogana aeroportuale, ritennero eccessivo il mio bagaglio, dovetti sballare tutti i 5 cartoni, sbarrarono gli occhi davanti a tanta tenerezza di orsi dormienti, ma si chiedevano cosa fossero tutti quei fili, e palpandoli, soprattutto che cosa contenessero poiché al tatto si sentiva una specie di gabbia di ferro, all’interno della pancia: il motorino che consentiva i movimenti. Non eravamo ancora sotto ansia terrorismo, ma ai doganieri non bastava la palpatina… volevano che li aprissi per veder cosa contenessero veramente, nonostante li avessero messi in funzione tra lo stupore di un ventina di persone che si erano fermate davanti a tanta attrazione. Aprirli?, ma non se ne parla proprio… e finalmente li convinsi e partii per l’Italia con la mia cucciolata, e  per 15 anni fecero la loro figura in ogni situazione natalizia, in ogni casa, sempre con scenografie  apposite, suscitando sempre molto  stupore, fino a quando non arrivarono anche in Italia e da allora giacciono nel mio armadio di addobbi natalizi. Ma li ho sfruttati talmente tanto, li ho prestati per allestimenti, per set fotografici, insomma i miei orsi mi hanno tenuto compagnia per tanto tempo,  soppiantati poi da altri decori, sempre abbondanti, tant’è che le mie feste venivano chiamate le “Alvierate”.

Credo li abbiano apprezzati almeno 10 mila persone,  tra vari Natali da 600 ospiti a quelli minori, ma ancora oggi in molti mi chiedono come stanno i miei orsetti, anche loro hanno lasciato un buon ricordo!

Ma ogni Natale dall’America partivo con  casse intere di decori, sempre a tema e sempre giganteschi: un anno tutti i decori bronzo, un altro tutto rosso, poi argento, blu, viola, arancio, tutto, ma proprio tutto: dalle palle a sfera opache e lucide, ad altre differenti per  forme e misure, a rami decorativi, luci, o ultime trovate all’avanguardia.  Infatti insieme agli orsi, ora ho traslocato tutto in un magazzino: un giorno decorerò un intero paese, e vi inviterò tutti a verificare che tutti i miei racconti prenderanno nuovamente vita, per la gioia di tutti coloro che danno all’addobbo un significato non solo di puro gusto estetico, ma il valore della ricerca,  per il piacere di festeggiare il Santo Natale.

Per non parlare poi degli addobbi delle tavole imbandite per le cene Natalizie, che normalmente comincio ad allestire ai primi di dicembre fino al Natale, e spesso in settimana, ma soprattutto i sabati e le domeniche che precedono le festività, arrivano gli invitati. Anche qui gli oggetti portati dagli USA si sommano di anno in anno, e neanche un inventario da archivista potrebbe annotare la quantità di oggetti vari, come  vetri, cristalli, ferro, acciai, posaterie, nastri, bordure, luci, etc. etc.

Sulla tavola ovale si contano  almeno una ventina di cervi in inox, portacandele, di ogni forma e colore,  e qui i generosi amici, contribuiscono  con leccornie natalizie, e in particolare la mia adorata Katrin, mancata chef,  sforna dolci di una tale bellezza e bontà, che ormai il reparto dolciario è di sua competenza. Per la raccolta fondi, invito tutti gli amici a non portarmi regali, ma eventualmente lasciare una somma, piccola o grande che sia,  per poter aiutare i bambini di Care & Share Onlus , l’Associazione alla quale sono legato come testimonial, e che da 20 anni sostengo con il mio unico ruolo: found raiser, ovvero trovare proventi per finanziare tutti i progetti che i bambini abbandonati in India, a Vijajawada, nello stato dell’Andrah Pradesh , hanno bisogno: educazione scolastica,  cure mediche, alimentazione, vaccini, e svaghi, come gite oltre agli studi che portiamo avanti sino alla maggiore età, e talvolta i generosi sponsor provvedono anche al mantenimento del bambino adottato a distanza, con gli studi superiori o Università.

Insomma luci, balocchi, decori, sempre al top, ma altrettanta attenzione alle necessità di chi ha meno di noi. Per questo ho dato al significato del mio acronimo ALV, che normalmente sta ad indicare la mia linea Andare Lontano Viaggiando, con i miei timbri del passaporti,  ma ALV mi sta a cuore anche per l’altro significato: Amare La Vita, che ben si coniuga con la beneficenza.

Auguro a tutti un Buon Natale, Buone feste e un meraviglioso 2019!!! E colgo l’occasione a chi per ani, e tutt’ora mi segue nel progetto di sostegno a distanza dei Bambini indiani abbandonati. Senza tanti, tantissimi generosi amici che mi hanno dato fiducia adottando uno o più bambini, oppure con donazioni hanno contribuito ad alleviare la vita dei “nostri” figli , indiani, lontano, ma meno fortunati di altri.

Grazie a tutti!

 

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