sabato, Luglio 27Settimanale a cura di Valeria Sorli

Per fortuna esistono i Dik Dik

Saper apprezzare un certo tipo di musica è una questione di intelligenza oltre che di buongusto.

Come succede con il linguaggio parlato dove l’ impoverimento dei tempi verbali, la diminuzione della conoscenza lessicale, l’inaridimento della lingua porta a formulare pensieri sempre meno complessi e quindi meno intelligenti, retrocedendoci intellettualmente al macaco giapponese, così nella musica, se ci vengono proposti solo gli stessi 4 accordi di base come fosse la quinta di Beethoven , e gli stessi testi anonimi e pieni zeppi di luoghi comuni, alla fine finiamo per scambiare i Maneskin per il nuovo fenomeno musicale del secolo 21°, e Sfera ebbasta come il nuovo ma febbricitante Verlaine della musica per adolescenti, ma fortunatamente esistono ancora i mostri sacri a salvarci, e oggi lo posso dichiarare con orgoglio e senza ombra di smentita,perché ho avuto la fortuna di ascoltare dal vivo i DIk Dik.

Così ho capito che forse potevamo ancora salvarci dalla depressione discografica che ci attanaglia.

Ho avuto il piacere di ascoltarli a Montecatini il 23 Luglio scorso in una serata, dove lo storico gruppo si è esibito suonando i brani più celebri del loro immenso repertorio, tutti rigorosamente dal vivo, cantati e suonati in modalità impeccabile.

Musicisti di altissimo livello, hanno suonato e cantato per circa due ore e mezzo davanti ad una vasta platea eterogenea, dove perfino i giovani con il loro immancabile iphone sintonizzato su Instagram Stories cantavano a squarciagola le loro intramontabili canzoni, insieme ai meno giovani e meno tecnologici che hanno comunque cantato in coro i loro grandi successi dall’isola di wright, sognando la California, intervallandoli con cover suonate da Dio dei Pink Floyd.

Insomma ho assistito all’improvviso ad una serata di grande musica su un palco dove appena il giorno prima si era esibita una scappata di casa della scuola di Amici seguita solo da una sparuta platea di bimbette isteriche.

Mi sono rincuorato (e non poco) assistendo allo show dei Dik Dik.

Grazie a loro ho maturato la convinzione che noi, esteti musicali, abbiamo ancora una speranza di salvarci dalle brutture che oggi impestano le classifiche su itunes; mi sono rincuorato nel vedere che esistono ancora dei veri musicisti che suonano realmente e che non hanno bisogno di falsare gli streaming su spotify per esistereo avere un vero pubblico che corra ad acclamarli, che non hanno bisogno di mascherare la loro voce con l’autotune a manetta, come invece fanno le nuove generazioni di pseudo cantanti,  solo per tentare di portare in fondo una ridicola serata che chiamano presuntuosamente e in modo improprio “ Concerto”.

I Dik Dik grazie alla loro immensa carriera che inizia nel 1964 come Dreamers e poi come Squali per poi chiamarsi definitivamente come l’antilope africana, mi hanno rincuorato  non poco la scorsa sera, anche perché ho notato che pure i giovani erano lì ad ascoltarli con ammirazione, ammutoliti e attoniti e  forse anche un po’ spaesati da cotanta professionalità.

L’altra sera a Montecatini con le loro hit eterne e da paura, come “ Sognando la California” ( Cover di California Dreaming), Senza LuceIo mi fermo qui e la super Hit “ L’Isola di Wright”, con i molti successi negli anni 80 e con Sanremo nel 1993 con “ Come passa il tempo”, i Dik Dik hanno insegnato a tutti i presenti una cosa meravigliosa: che per essere applauditi e riempire una piazza non servono gli strattagemmi dello show business di questo inutile decennio musicale, ma solo tanta professionalità, serietà, onestà musicale e tante belle canzoni. E la gente li ha premiati.

L’altra sera, Grazie ai Dik Dik, sono andato a letto con una speranza nuova e per questo li ringrazio.

A cura di Marco Del Freo

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