lunedì, Aprile 29Settimanale a cura di Valeria Sorli

La Fiera dei Balocchi- Mostra del Giocattolo Antico

Ha riscosso un successo al di là di ogni più rosea previsione “La Fiera dei Balocchi – Mostra del Giocattolo Antico”, in corso nella magnifica sede dell’Archivio di Stato di Napoli, l’ex convento benedettino dei Santi Severino e Sossio, 24mila metri quadrati di pura storia in 300 ambienti, quattro chiostri, sale sontuosamente affrescate, con opere di Antonio Solaro detto lo Zingaro e di Belisario Corenzio. Le sue prime strutture risalgono all’VIII secolo e fu destinato a quest’uso istituzionale sin dai primi dell’800.

Uno scrigno che finora rimaneva appannaggio di ricercatori e studiosi ma che il grande pubblico praticamente non conosceva.

 

Eppure si trova in pieno Centro antico, a un tiro di schioppo dal Duomo, da via dei Tribunali e da San Gregorio Armeno, in uno slargo che si chiama addirittura “Piazzetta Grande Archivio”: a voler dare la scossa è la sua direttrice pasionaria, Candida Carrino, accesa dal sacro fuoco di far sentire l’Archivio “la casa delle storie”, patrimonio di tutti.

 

Esordio di questa nuova strategia di apertura alla città è stata la Mostra sul Giocattolo Antico, che ha accolto nello stupendo scrigno dell’Archivio una parte della collezione dell’avvocato Vincenzo Capuano, funzionario dell’ufficio legale di Banca Intesa, fine conoscitore della storia del giocattolo, di cui è docente presso l’Università Suor Orsola Benincasa. Più di mille rarità, da un patrimonio di oltre cinquemila giocattoli, su un totale di diecimila pezzi, si distribuiscono in antichi armadi, vetrine, bacheche e, i più imponenti, anche en plein air, secondo un allestimento molto coinvolgente, curato da Donatella Dentice d’Accadia.

 

Otto le aree tematiche dell’esposizione: oltre alle bambole, che ne costituiscono il nucleo più numeroso, gli automi, i giochi da tavolo, i teatrini, i pupazzi e i personaggi, i giocattoli in legno, i giocattoli di latta e i giocattoli di guerra.

Partiamo, dunque, dalle bambole, che rappresentano un vero viaggio nel tempo, a partire dai primi del ‘700.

A quell’epoca risalgono le cosiddette “Pandore”, che le ricche e nobili bambine amavano in particolar modo: può annoverarsi in questa gamma la Bambola William & Mary, del 1740, bambola manichino a otto snodi negli arti e testa, capelli veri e un cappello di paglia; una ottocentesca ha un lussuoso corredo di abiti e accessori, di cui solo una minima parte esposti, persino il pettine in avorio e le guipieres.

Stupefacente è, poi, la portantina settecentesca, tappezzata di seta, dove siedono nove bambole che riproducono personaggi della corte borbonica, compreso il Re e la Regina, proveniente dalla collezione della principessa Maria José Cattaneo della Volta di Sannicandro.

Vi è una bambola che riproduce la baby diva Shirley Temple e un’altra, in panno Lenci, che rappresenta Rodolfo Valentino abbigliato da “Figlio dello Sceicco”, oltre a una delle mitiche “maschiette”, che riproducono le sembianze di Marlene Dietrich.

 

Non poteva mancare Barbie (battezzata dalla sua ‘inventrice’ col nome di Barbara Millicent Roberts), ma non una delle innumerevoli versioni che si sono susseguite in oltre sessant’anni: no, proprio lei, la Numero Uno, che esordì in costume zebrato nel 1959 e che, dal 1961, replicò un imprinting prettamente italiano: “Tengo famiglia”, col fidanzato Ken (qui c’è la prima versione, non così palestrato come ora), la sorellina Skipper e tutta una pletora di parenti e amici vari.

Lasciamo le bambole e approdiamo alle altre declinazioni del mondo del gioco: innumerevoli Pinocchio di legno occhieggiano dalle vetrine o dall’esposizione; automi sbalorditivi nelle loro movenze perfette testimoniano il grado di innovatività anche in epoche remote; giochi da tavolo predecessori dei moderni videogiochi, ne anticipano le regole; marionette storiche, come i sette nani di Podrecca, famosissimo artista del teatrino. E poi, macchinine, trenini, aeroplanini di ogni genere e qualità, teatrini, un circo e il mitico Musichiere, pupazzo cult di fine anni ‘50.

 

Inquietanti, poi, i giocattoli “di regime”, fra gli anni ’30 e ’40, con i bambolotti e il Pinocchio Balilla, strumenti di propaganda nelle fasce più giovani della popolazione dell’epoca – propaganda a iosa – e un’auto scoperta di latta, una Mercedes del 1936, dove, a bordo, si riconosce nitidamente Adolf Hitler, accompagnato da alcuni gerarchi, in cui uno ha il braccio teso nel saluto nazista.

Noi boomers, però, abbiamo anche noi un giocattolo-simbolo con un’altra decappottabile di latta, di produzione spagnola, risalente al 1964, una spider che ospita i Fab Four, allora idoli della gioventù, in tournée a Madrid. Chissà che a qualcuno non venga l’idea di costruirne una versione attualizzata, con seduti dentro i Maneskin! Purché gli occupanti non si esibiscano in un nuovo spettacolo distruttivo

 

di Annamaria Barbato Ricci

 

a cura di Cristina Vannuzzi

 

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