giovedì, Aprile 18Settimanale a cura di Valeria Sorli

Usanze e costumi dall’Arabia al Giappone

“Paese che vai, usanza che trovi!” dice un sensato proverbio, come del resto lo sono tutti i proverbi che provengono dal popolo, e vox populi, si sa, ha sempre un fondo, se non una cima di verità.

Alle usanze che incontri ti puoi abituare, accettarle, rifiutarle, o evitarle se sai anticipatamente qual è il prezzo da pagare. Nel 2012, parliamo quindi di “era moderna”, parto per il Golfo Arabo, con la mia cara amica Maria, una bellissima donna bionda, avvocato, che mi fa da accompagnatrice per le due cerimonie di aperture delle Boutique ALV, una a Kuwait City e una a Riad in Arabia Saudita. A Kuwait, città molto sviluppata, dove ormai si potrebbe evitare di osservare le ferree leggi dei paesi del Golfo, mi è capitato, incontrando donne locali, mogli dei miei co-partner, di offrire loro la mano come gesto di saluto, abituale in tutto il mondo, e sentirmi dire “I’m sorry, i don’t shake hands” …letteralmente “Scusa, ma non do la mano ad altri uomini che non sia mia marito!” E va beh, sin qui, nessun problema, se la sua religione glielo impone, io la rispetto. Maria non aveva questo problema, ed essendo lei una donna molto sociale,addirittura si lanciava in affettuosi baci, e nessun uomo ha rifiutato quel saluto… magari la moglie non era proprio contenta, ma la sottomissione al coniuge non le impediva certo scene di gelosia… un sorriso e via. All’evento dell’apertura, con tanto di presenza dell’Ambasciatore Italiano, una folla immensa di Kawaitiani, dai bambini ai genitori, sia vestiti all’0ccindentale che con gli abiti abitualmente usati nella penisola Arabica. Grande festa, baci affettuosi, strette di mano (attento a quella alla signora già sperimentata!) e molti applausi… ora ci aspetta il viaggio a Riad, ben più rigida nelle osservanze alle usanze locali. Entro con Maria, che indossava un abito tipo tubino con giacca per coprire le braccia, in un negozio e la trasformo in tale modo da renderla irriconoscibile, nessun capello biondo in vista, solo l’incarnato (tuttavia coperto da un velo dal naso in giù e le mani libere. Arriviamo nella capitale e le dicono che non necessitava di tanti orpelli, per una straniera bastava un velo, certo, un abito lungo, nero… tant’è che il nostro sforzo non era lontano da quanto richiedevano: si liberò solamente del velo sulla bocca, ma per il resto era perfetta. Entriamo in Hotel 5 stelle lusso,lei venne subito prelevata da un’ accompagnatrice, che l’avrebbe condotta nell’ala femminile dell’hotel, con una netta divisione da quella maschile, salvo dimostrare che ci univa un matrimonio, cosa non possibile e dunque mi lasciò il numero della sua stanza. Io nella mia nella torre maschile, lei nella sua in quella femminile. Ci chiamiamo subito al telefono per accertarci di non essere stati definitivamente separati, e ci conforta sapere che ceneremo in albergo, insieme ai nostri partner locali. Maria non osa, ma soprattutto non ha altri cambi, e pertanto alle 7 scendiamo nella lobby, dove cenando ci rilevano i piani per i due giorni successivi: l’indomani visita privata a casa dello sceicco investitore, molto tradizionalista, con pranzo e successiva visita alla città, forse su auto diverse…. L’indomani arriva e ci vengono a prelevare e dopo qualche chilometro, ci troviamo nella reception della villa. Senza saperlo veniamo separati immediatamente, Maria sarà ospite delle donne (24 per l’esattezza tra mogli, zie, forse amanti, e molta prole di tutte le età), ed io finisco seduto sul tipico divano rotondo, barocco come anche la sala d’aspetto, dove ogni posto a sedere è fornito di narghilè, e la conversazione avviene esclusivamente tra uomini, con un andare e vieni di amici, impiegati, cognati e parenti, tutti a darmi il benvenuto. Il tutto con le loro tempistiche, dura 3 lunghe ore, cerco di contattare Maria, ma scopro che la sua borsa è lì, in bella vista all’ingresso del “reparto femminile”… dunque non mi potrà mai rispondere! E’ arrivata l’ora delpranzo, sono le 14 e mi fanno accomodare, con tanto di djellaba, la tipica tunica, con in testa la Kefiah, fermata dal classico cordone. Devo dire che parevo uno di loro, e con la solita flemma ci rechiamo nella sala pranzo, una tavola apparecchiata per 24, ma noi siamo 5, e dunque mi collocano a capotavola, due uomini a lato destro, lo sceicco e il suo aiutante alla sinistra, e di fronte a me sulla tavola, AIUTO… AIUTO… campeggia una testa gigantesca di agnello, e mi viene offerta una scimitarra perché sarò io, l’ospite d’onore, a dare via al pranzo. C’è chi beve tè, chi Coca-Cola, io mi limito all’acqua, e per le due successive ore ho visto passare nel mio piatto tutto il repertorio della cucina mediorientale, e ad ogni portata si aspettavano un mio commento, talvolta difficile perché i sapori erano buoni ma non sapevi cosa mangiavi… dolci a volontà, per loro narghilè a fine pasto e un buon caffè turco, e mi chiedo… “dove sarà Maria”, in quale orgia culinaria sarà finita lei!? Finalmente ci riuniamo e con quattro parole, sempre sotto divisione tra sessi, ci rassicuriamo di esserci ritrovati e sempre su due auto divise ci portano al mercato locale, finalmente quello che adoro, e girando tra i banchi, sempre separati, non ho più mani per raccogliere tutti gli oggetti che mi vengono regalati, uso della buona società locale nei confronti dell’ospite… Dalle rose del deserto ad abiti da cerimonia, una dozzina di diversi copricapi, datteri a profusione e ora viene il bello: lo Sceicco annuncia che essendo venerdì, si va nella piazza principale (AIUTO AIUTO BIS), dove ci saranno le esecuzioni in pubblico… Come potrei fare ad evitare queste barbarie? Mi racconta che il minimo che posso vedere è il taglio delle mani ai ladri, frustate a donne disobbedienti, altre orribili torture sino all’impiccagione per i reati più gravi… tutto questo davanti ad un pubblico festante e gioioso di vedere puniti i “fuorilegge”… NO GRAZIE, NON HO DAVVERO BISOGNO DI VEDERE TUTTO QUESTO, INSISTO, NON VOGLIO VEDERE…. E stranamente accettano e facciamo tutti ritorno in hotel per la cena. La sera, sempre sotto sorveglianza, con la pancia che gridava aiuto, si decide il programma per l’indomani, ovvero l’apertura della boutique ALV in un bellissimo shopping center. Anche qui cerimonia, di tutt’altro genere, solo uomini, Maria può assistere, e così, senza orpelli, ne buffet, ne discorsi, il solo taglio del nastro si dà il via all’attività commerciale. Quando vengono tolti i teli che coprivano le vetrine rimango sbalordito: tutto il materiale fotografico inviato, i manifesti che reclamizzavano le borse, i cartelli vetrina, le pubblicità, tutte con bellissime donne, oscurate, anzi annebbiate, come se non esistessero, così anche per braccia e mani… una sorta di amputazione fotografica, che avrei incontrato in tutto il centro commerciale, immaginate quelli che vendevano lingerie… ahah, e i profumi, con scandalose modelle annebbiate e solo a vista il flacone del profumo. Per fortuna, avevo previsto un mio ritratto, al quale non è stato amputato nulla, l’uomo può apparire, purché vestito! L’indomani si parte e in viaggio con Maria, ci confidiamo come se non ci vedessimo da anni, e mi racconta che aveva ovviamente fatto breccia nelle donne dello sceicco confidandomi che c’era stato una gran defilè di moda, anche con abiti succinti e audaci, purché lontani dagli sguardi maschili. Maria ha intrattenuto rapporti per gli anni a seguire con mail, e addirittura una di queste ragazze è venuta a studiare a Milano sotto la sua ala protettiva. Ora mi sposto in Estremo Oriente, a Taipei, la capitale della piccola ma sovraffollata isola di Taiwan. L’indomani visita a due punti vendita e la solita, ormai consueta cena con i direttori e distributori locali, sempre in hotel di grande lusso, dove ogni piatto veniva servito contemporaneamente da 10 camerieri che scoprivano con perfetta sincronia, la campana di metallo che nascondeva la prelibatezza locale… ok, ma avevo bisogno di qualcosa di più semplice di questo rituale borghese, o pseudo tale… arrivato a Taipei, mi presentano il programma della giornata, inclusa la solita cena 7 stelle e 3 forchette. Dico, ok, per il programma ma per la cena, preferirei un posto tipico, anche una bettola, ma basta con queste campane argento… Li vedo confabulare, uno si allontana e dopo 10 muniti ricevo una chiamata dal mio Direttore rimasto in sede a Milano, dicendomi che ho “rifiutato” la loro ospitalità, e nasce quasi un caso diplomatico. Mantengo il mio punto e dico che apprezzo molto la loro ospitalità e chiedevo solo il cambio di location per la cena, avrei gradito qualcosa di locale, di meno occidentale… “DAVVERO MR MARTINI? DAVVERO LEI VUOLE CENARE IN UN POSTO LOCALE?” “SI!!, una qualunque locanda, un ristorante magari con qualche stella in meno, ma con cucina locale!!!! “DAVVERO”? ” SI, DAVVERO”. Saliamo in una macchina di lusso e ci allontaniamo in 8, arriviamo in periferia davanti una specie di capannone, un cartello avvertiva che era proibito fotografare, entriamo e sul lato sinistro c’erano almeno 50 piccoli box, un corridoio, e ognuno di questi ristoratori aveva un luogo dedicato ai propri clienti. Specialità locale? SERPENTI!!! Ogni box aveva appeso al filo10-12 serpenti infilzati per la gola, ancora vivi che si snodavano animatamente e a me aspettava la scelta del prelibato rettile… Volevi la cucina tipica? ecco ora non puoi sottrarti, dissi fra me e me, una volta indicato il malcapitato mi soffermai ad osservare il metodo di cucina. Innanzitutto dalla bocca venne estratto uno strano siero, che misto ad un liquido tipo sake, veniva offerto ad ogni commensale, poiché è un toccasana per la circolazione sanguigna, il fegato, e mille altri organi tra l’altro pare fosse afrodisiaco. Mandai giù l’intruglio, insapore, aspettandomi di morire da un momento all’altro avvelenato… no, tutti ok, io e i commensali. Intanto la Signora tagliava il serpente in porzioni tipo 8-10 cm, e li passava alla piastra. Non immaginate l’odore di tutti i box messi insieme, locale affollatissimo e finalmente il pranzo è servito: serpente alla griglia, accompagnato da abbondante riso con qualche legume. Feci buon viso a cattivo gioco, mangiai fino all’ultimo pezzo il mio pitone, tant’è che detti l’idea di aver gradito così tanto da portarli a propormi il bis…. NO GRAZIE, sono sazio, davvero buono. Evitai il dessert, e ringraziai per la bellissima (!!!) esperienza ed uscimmo dal retro, dove fuori all’aperto c’era qualcosa ancor più tipico. Una signora davanti ad un pentolone gigantesco in stile fattucchiera, con una pala girava e rigirava il contenuto, coperto da brodo, e tutt’intorno una folla di persone, di ceto sociale decisamente povero che aspettavano ognuno, chi con il proprio piatto chi con un giornale, la propria porzione, gratuita di zampe d’oca, bollite e pare così succulente che a lato vi erano centinaia di persone intente a succhiare la prelibatezza… “Vuole assaggiare Mr. Martini”? che sapeva più di sfida che di invito… “No, grazie! Per oggi (e per questo viaggio), va bene così…” tornerò da domani, a Singapore alle tradizionali campane, e mi guarderò bene dal chiedere cibi esotici…però fu una bella esperienza, e anche per i Taiwanesi ero l’unico che aveva osato smontare le tradizioni dell’ospite occidentale. Prossima tappa: Australia. A Sidney, mi accolsero nel nostro show room, gestito da una famiglia italiana, fuggiti anni fa dall’Abruzzo e nella città Australiana misero su una bella struttura vendendo prodotti italiani, con ottimo successo. La Gold Coast, la barriera corallina, di 1000 kilometri da Sidney a Coolangatta, era zeppa di Giapponesi e dunque grandi shopping center dove il business era straordinariamente interessante. Da buoni italiani, l’invito a cena non era nei soliti hotel 5 stelle, ma in casa. Apprezzai molto,prelibatezze abruzzesi e naturalmente, per sorprendere l’ospite, come secondo piatto con tanto di contorni, il canguro! Già avevo ridotto notevolmente a quell’epoca il consumo di carne, immaginatevi di trovarvi nel piatto il canguro! Feci anche qui buon viso a cattivo gioco, tagliai una piccolissima fetta, assaggiai e, nulla di che, così lasciai il piatto quasi intatto. Nessun commento da parte degli ospiti. In Giappone assaggiai ogni tipo di prelibatezza, il Kobe beef, famoso bovino allevato a birra, massaggi e musica… ottima carne, con la quale si fa shabu shabu,ovvero, con le bacchette tipiche orientali, si immerge in acqua, in una pentola alimentata dal fuoco sottostante e man mano che si mangia, l’acqua diventa brodo, e a fine pasto si beve il succulento e denso consommé, con i grassi rilasciati dal bovino. Evitai invece ogni proposta “indecente” in Cina, dove spudoratamente mi proposero carne di cane, squalo bianco, e cervella di scimmia. No,grazie, involtini primavera e noodles, magari una verdurina di contorno. Paese che vai, serpente che trovi!!!
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